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SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA

La clausola di mero gradimento, la clausola di prelazione, il diritto di recesso.

Come può il socio di minoranza di una S.r.l. tutelarsi contro gli abusi della maggioranza di cui spesso rimane “prigioniero”?


Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. I, Ord. 29/01/2024, n. 2660) offre interessanti spunti di riflessione con riguardo proprio a tale tutela, in particolare in tema di clausola di mero gradimento, prelazione e diritto di recesso.

a) la clausola di mero gradimento

è prevista dall’art. 2469 c.c. ed è la clausola dello statuto che subordina il trasferimento delle quote alla sola approvazione di organi sociali, di soci o di terzi.

In altre parole, la vendita della quota di partecipazione di un socio può essere effettuata solo se uno di questi soggetti (di solito l’organo amministrativo o l’assemblea), dia il proprio assenso alla cessione e “gradisca” il soggetto acquirente, peraltro senza essere tenuto a motivare la decisione in caso di mancato gradimento.

Lo scopo è quello, quindi, di controllare chi entra in società e, in particolare, di evitare che entrino dei soggetti non graditi.

Tuttavia, il socio di minoranza, in presenza di questa clausola, si trova in una situazione di particolare soggezione, poiché con il mancato gradimento degli organi sociali, rimane prigioniero della società e impossibilitato a vendere a tempo indeterminato.

È per questo che l’art. 2469, comma 2 c.c. prevede che, in caso di esercizio della clausola di mero gradimento, il socio cedente abbia il diritto di recesso, ossia il diritto di uscire dalla compagine societaria vedendosi liquidata la propria quota.

b) la clausola di prelazione

è la clausola che dà diritto agli altri soci di essere preferiti a terzi nel caso in un cui un socio decida di vendere la propria quota.

In altre parole, se il socio vuole uscire dalla società vendendo la propria quota, deve prima offrirla agli altri soci e, solo nel caso in cui questi ultimi non esercitino la prelazione, il socio cedente è libero di cedere la quota a terzi.

Lo scopo è in parte simile a quello della clausola di mero gradimento, ossia tutelare la composizione della società, dando priorità agli attuali soci rispetto a terzi estranei che potrebbero essere non graditi, tuttavia, a differenza della clausola di mero gradimento, il trasferimento non è impedito, ma è solo condizionato alla preventiva offerta agli altri soci.

Nella vicenda portata all’attenzione della Corte di Cassazione, la maggioranza ha approvato una delibera assembleare con la quale venivano soppresse dallo statuto sia la clausola di mero gradimento, sia la clausola di prelazione.

Il chiaro scopo di tali modifiche statutarie era quello di poter vendere liberamente le quote ad un soggetto gradito solo all’amministrazione, impedendo contestualmente ai soci minoritari la possibilità di esercitare il diritto di recesso; nonché quello, mediante soppressione della relativa clausola, di impedire ai soci minoritari di esercitare la prelazione.

La Corte ha innanzitutto ribadito un principio chiave: il diritto di recedere dalla società nel caso in cui esista una clausola di mero gradimento è proprio quello di evitare che il socio di minoranza rimanga “prigioniero” della società. Pertanto, egli ha diritto di recesso non per il solo presupposto che esista una clausola di gradimento, bensì ogni volta che – e se – il gradimento venga negato.

Tuttavia, in questo caso specifico, la soppressione della clausola di mero gradimento e la soppressione della clausola di prelazione hanno comportato la lesione del diritto dei soci di minoranza, a non veder peggiorare la loro posizione nella compagine societaria a vantaggio di quella di altri soci o di soggetti terzi graditi solo all’amministrazione.

In altre parole, la soppressione delle clausole che tutelano il socio di minoranza è stata configurata dalla Corte come abuso della maggioranza, poiché deliberata al fine specifico di ledere i diritti di partecipazione dei soci minoritari e, dunque, annullabile per violazione del canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto di società.

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