Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, agli artt. 322 ss., è dedicato alle disposizioni penali, che sono suddivise in “reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale” e “reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale”. Il reato cardine di tutto il sistema dei reati fallimentari è la bancarotta, a sua volta frazionabile in distinte ipotesi a seconda dei caratteri concreti che esso venga ad assumere.
La bancarotta può essere ravvisata, in prima approssimazione, nel compimento, da parte di soggetti interni alla società, di fatti che determinino un pregiudizio attuale o potenziale degli interessi propri dei creditori dell’impresa, destinato ad assumere rilievo penale in esito all’apertura della procedura concorsuale.
Potendosi trattare di diverse forme di bancarotta, è opportuno individuarne alcuni criteri di differenziazione: innanzitutto, dal punto di vista del soggetto attivo, la bancarotta si distingue in bancarotta propria (in cui il soggetto attivo è lo stesso imprenditore soggetto a liquidazione giudiziale); e bancarotta impropria o societaria (in cui il soggetto attivo è soggetto societario ma non l’imprenditore soggetto a liquidazione giudiziale).
Ulteriore distinzione è quella fra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice. Sebbene tale distinzione esprima una diversificazione in ragione dell’intento riconducibile al soggetto attivo e, quindi, ha radici essenzialmente psicologiche, essa si basa non solo sull’elemento soggettivo, ma anche sull’elemento oggettivo del fatto tipico, il quale, in ragione della sua struttura, sarà espressivo dell’intento fraudolento (dolo) ovvero del mero atteggiamento incauto del soggetto attivo (colpa).
Ulteriore distinzione è quella tra bancarotta patrimoniale e bancarotta documentale.
La prima ha ad oggetto il patrimonio dell’impresa; il secondo riguarda le scritture contabili. In altre parole, mentre la bancarotta patrimoniale consiste essenzialmente in fatti di depredazione o dispersione del patrimonio, la bancarotta documentale si sostanzia in fatti di distruzione, falsificazione o irregolare gestione documentale.
Ultimo criterio distintivo è quello fondato sulla collocazione temporale del fatto commesso e, in particolare, sulla relazione tra il momento di commissione del delitto e la dichiarazione di fallimento. Alla stregua di tale criterio, è possibile distinguere la bancarotta prefallimentare dalla bancarotta post-fallimentare.
Passando a una disamina breve dei principali reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale, e seguendo l’impostazione del CCII, l’art. 322 è dedicato al reato di bancarotta fraudolenta, che punisce, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l’imprenditore che:
a) ha distratto occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
b) ha sottratto, distrutto, falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La norma punisce, inoltre, l’imprenditore, dichiarato in liquidazione giudiziale, che, durante la procedura, commette alcuno dei fatti previsti alla lettera a) ovvero sottrare, distrugge o falsifica i libri e le altre scritture contabili; nonché l’imprenditore in liquidazione giudiziale che, prima o durante la procedura, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
L’art. 323 è dedicato alla bancarotta semplice, che punisce, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l’imprenditore che, fuori dai casi di bancarotta fraudolenta:
a) ha sostenuto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;
b) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;
c) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l’apertura della liquidazione giudiziale;
d) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa;
e) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o liquidatorio giudiziale.
La norma punisce, inoltre, l’imprenditore in liquidazione giudiziale che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale ovvero dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili previsti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
L’art. 325 disciplina il reato di ricorso abusivo al credito, che punisce amministratori, direttori generali, liquidatori e imprenditori che ricorrono o continuano a ricorrere al credito dissimulando il dissesto o la stato d’insolvenza.
L’art. 326 punisce la condotta dell’imprenditore in liquidazione giudiziale che, fuori dai casi di bancarotta fraudolenta, nell’elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare l’esistenza di beni da comprendere nell’inventario.
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